Attenti alla CO2

Valeria Fieramonte

                                         

                                     Nel 2009, all’epoca dell’unica conferenza mondiale sul clima tenuta in Europa, (Copenaghen),le ppm (parti per milione) di CO2 nell’aria erano 350.  Oggi, primi mesi del 2012, le ppm di CO2 sono 390: segno che, nel giro di tre anni, l’inquinamento da accumulo di anidride carbonica si è messo a correre.
Il dato viene normalmente misurato a Mauna Loa, una stazione di rilevamento piazzata in mezzo al Pacifico, alle Hawaiii.
Ma nelle grandi città quanto sarà?
Normalmente non la si misura, perché di per sé non è considerata tossica ( la emettiamo anche  col respiro, le piante la sintetizzano per emettere ossigeno). Ma anche la sostanza più innocua, se è molto sopra i limiti può diventare pericolosa e mortale, come spero sia intuitivo per i più.
Poi ci sono tutte le sostanze che sotto forma di polveri , diventano tossiche, e sono tossiche anche in piccolissime dosi: c’è una grande confusione circa le innumerevoli sigle fornite dagli esperti.
Mio primo obiettivo è dunque spiegare, con l’aiuto di una ricercatrice di ISPRA, Elisabetta Vignati, che cosa si cela dietro numerosi acronimi e sigle chimiche.
In primo luogo non bisogna confondere le ppm , che sono parti per milione di gas nell’atmosfera, colle PM10(polveri sottili ), ora a quanto pare mandate in soffitta a favore del concetto di   particolato carbonioso, dall’inglese ‘particulate matter’( ancora una volta una traduzione non alla lettera).
“ Di per sé la parola PM10, dice Elisabetta, indica la somma della massa di tutte le particelle che hanno una dimensione minore di 10 micrometri. Più piccole sono più sono pericolose perché si infilano negli alveoli e penetrano più facilmente nelle cellule”.
Che cosa c’è dentro l’aria che respiriamo? Vediamo un po’ con una scheda apposita:
CO2 ( biossido di carbonio, meglio nota come anidride carbonica)
N2O protossido d’azoto
CH4 metano
O3  ozono
SO2 biossido di zolfo
CO monossido di carbonio ( quello che fa danni quando una stufetta è difettosa)
NOx ossidi di azoto
E parecchio altro.

Ora occorre fare un passo indietro e riflettere sulla nostra storia:
Nel 1760  c’è stata la prima rivoluzione industriale. Con l’invenzione della macchina a vapore, che andava a carbone, si è dato il via a una massiccia emissione di polveri di carbone nell’aria.
Nel 1870 - 1929 c’è stata la nuova rivoluzione industriale basata sui motori a scoppio e l’uso sempre più diffuso di petrolio e di gas.
(Nel 1970 si è parlato di una terza rivoluzione dovuta ai computer, ma è solo indicativa dati gli enormi cambiamenti in atto.)
Tutte queste nuove produzioni hanno comunque di molto aumentato l’emissione nell’aria delle più svariate particelle.
Ci sono sostanze che hanno più effetto sul clima perché riscaldano l’atmosfera ( CO2,N2O,CH4) e sostanze che hanno più effetto sulla qualità dell’aria: danneggiano la salute e limitano la produzione agricola. (O3, SO2, CO, NOx, PM in genere).
“ Come facciamo ad affrontare entrambi i problemi nello stesso tempo? – continua Elisabetta Vignati, ( Centro Comune di ricerca della Comunità Europea, o JRC, in inglese)- .Introducendo il nuovo concetto di black carbon ( niente paura, in italiano significa fuliggine)”.
Alla fine si trova che l’ozono e il back carbon sono dannosi sia per la salute che per l’effetto serra, perché non solo degradano la qualità dell’aria ma riscaldano l’atmosfera : et voilà, come dei prestigiatori gli esperti  hanno trovato il modo di tentare di convincere anche quelli che obiettano sempre: il black carbon e l’ozono diventano  il punto in comune tra le due problematiche ( clima, salute).
Speriamo che l’introduzione di questo nuovo concetto non faccia  aumentare la confusione: su tematiche così importanti sarebbe meglio ricercare in primo luogo la chiarezza.

Diciamo così:  con il concetto di black carbon, che poi non è altro che la fumosa fuliggine, associato all’ozono,  si acchiappano i due lati del problema: i gas serra con effetti di lungo e lunghissimo periodo sul clima, su scala planetaria, e i gas che hanno una vita media nell’atmosfera più bassa ma che impattano di più sulla nostra salute.
Il metano, per esempio, è uno dei principali precursori dell’ozono e non ci dà sempre una mano, come dicevano le vecchie pubblicità, perché ristagna nell’atmosfera per 8 anni, prima di essere smaltito. Sempre meglio della CO2 che ristagna per millenni.
L’ONU e la società mondiale dei meteorologi suggeriscono una vera montagna di misure, oltre 400,
per tutelare la qualità dell’aria e la salute, perché si prevede che nel 2040 la temperatura del pianeta sarà aumentata di due gradi e che allora l’effetto CO2 sarà molto più grave.
Ma, anche senza fare del terrorismo climatico, è chiaro che è assolutamente importante ridurre gli inquinanti e farlo a partire da ora.
Elisabetta Vignati è nata a Busto Arsizio, si è laureata in fisica all’università degli studi di Milano, ha lavorato a Roskilde, vicino a Copenaghen per 5 anni e ora lavora appunto a ISPRA al Centro Comune di Ricerca o JRC, all’istituto per l’ambiente e la sostenibilità.
Come fa a misurare, per esempio le PM10?
“ Con un tubo dove vengono fatte entrare solo le particelle più piccole di 10 micrometri.
Finiscono su un filtro che viene pesato in microgrammi per metro cubo(m3), in modo da ottenere la massa, accumulata con particelle di vario tipo e dimensioni, ma tutte sotto i 10 micrometri e tuttavia diverse tra di loro, che per esempio sono fatte di zolfo, carbonio o azoto”.
Per finire Elisabetta mi dà alcune tabelle dove si afferma che ci sono misure applicabili per ridurre le concentrazioni di ozono e black carbon. Le più importanti sono 14: servirebbero anche a prevenire sia i circa 5 milioni di morti annue dovute a inquinamento dell’aria sia i danni ai raccolti agricoli, sia l’effetto serra. Sono misure che, dicono gli esperti, vanno applicate da subito, assieme a quelle per la riduzione della CO2, dato che sono entrambi, sia pure in modi diversi, il prodotto finale di ogni tipo di combustione.

 
 

Scheda: Gli effetti del black carbon sulla salute 

L’ associazione culturale pediatri di Milano ha diffuso un documento che contiene dati piuttosto preoccupanti circa la correlazione tra inquinamento atmosferico e alcune patologie che colpiscono i bambini da zero a sei anni. In primo luogo l’asma, aumentata dal 3 al 10% negli ultimi 30 anni.
Il particolato trasporta delle sostanze cancerogene come il benzene e gli idrocarburi aromatici dovuti al traffico dei veicoli (diesel e benzina), In particolare anche a causa del benzene sono aumentati i casi di leucemia.
Il biossido di zolfo ( emesso dalle caldaie a carbone e gasolio) sarebbe poi una concausa di deficit nello sviluppo  funzionale dei polmoni. L’85% dello sviluppo polmonare avviene tra gli zero e i sette, otto anni: alla nascita gli alveoli sono circa 5 milioni, mentre verso i sette, otto anni diventano 400, 600 milioni.   In seguito la crescita, che si completa verso i 18 anni, è più lenta.
I fumi del traffico possono influenzare negativamente anche l’apprendimento e le funzioni cognitive.
Brutte notizie anche per ciò che riguarda le mamme in gravidanza:  si è notato che le donne gravide che vivono in vie molto trafficate ( più di 20mila veicoli al giorno) vanno incontro a  un rischio di morte neonatale raddoppiato rispetto alle altre.
Anche il basso peso alla nascita può essere dovuto all’inquinamento: ad ogni microgrammo per metro cubo in più di PM10 si riduce di 0,52 grammi il peso del bambino alla nascita.
Anche gli adulti comunque non se la passano bene: le micro particelle penetrano nel sangue e ne attivano la coagulazione, con aumentati rischi di trombosi venose e di embolie polmonari.
Il rischio aumenta progressivamente con l’aumentare dell’inquinamento.
Infine una ricerca sui vigili urbani che stanno in strada ha dimostrato che la lunghezza dei telomeri dei vigili esposti al traffico si riduce: in pratica invecchiano prima.
C’è davvero da chiedersi se un provvedimento come l’area C basterà o non saranno necessarie misure molto più drastiche ( isole pedonali, aree a velocità limitata, targhe alterne e domeniche a piedi).   Non si spiega neppure il macroscopico ritardo con cui vengono prodotti e immessi sul mercato i veicoli elettrici, specie quelli pubblici:  se adottati in massa contribuirebbero da soli a risolvere buona parte del problema.

 

 

21-12-2012